mercoledì 4 marzo 2020

4 - L'illuminismo e la questione della lingua.


Risultato immagini per alessandro verri rinunzia avanti notaio al vocabolario della crusca

Lo sappiamo bene: l'illuminismo ha innovato in ogni campo. Lo spirito illuministico è, nella sua essenza, una rivolta contro la tradizione e contro il principio di autorità implicitamente operante in ogni pratica considerata vera in sé in quanto proveniente dal passato. Questo fervore di demistificazione di verità ritenute incrollabili ha operato - com'è ovvio - anche nei confronti della lingua, cioè dello strumento principe per mezzo del quale si doveva concretizzare quella predicazione della razionalità che era uno dei pilastri della cultura illuministica. Non si può infatti dare una buona comunicazione se non si usa efficacemente il linguaggio. Dunque, che cosa ne pensavano gli illuministi lombardi dell'italiano?
Prima di leggere la risposta nel testo che potete leggere cliccando sul link qui sotto, ricordiamoci qual era la condizione dell'Italia nel XVIII secolo: una penisola politicamente divisa, ormai da secoli sottoposta al controllo di potenze straniere (dal 1559 la Spagna e a partire dal 1714 dall'Austria), con una koinè linguistica limitata alla belle lettere, che ovviamente, in un paese per lo più analfabeta, circolavano pochissimo. L'italiano esisteva ufficialmente dai primi decenni del Cinquecento, ma nella produzione di nuovi testi era prescritto l'utilizzo del vocabolario, della morfologia e della sintassi di Dante, Petrarca e Boccaccio, cioè di autori di due secoli prima. L'italiano nel '700 non era dunque una lingua viva nel senso moderno del termine, in quanto effettivamente non era parlata praticamente da nessuno. Inoltre, anche chi la padroneggiava, l'aveva acquisita, in fondo, in modo non dissimile dal latino, cioè studiandola su testi di quattro secoli prima e su un repertorio di argomenti - per forza di cose - di carattere letterario, non di vita quotidiana o di attualità. E' in questa prospettiva che va letta la polemica di Alessandro Verri, apparsa sul "Caffè" nel 1764. L'obiettivo contro cui si scaglia è l'Accademia della Crusca, cioè l'istituzione culturale che, dalla sua fondazione nel 1583, si occupava di redigere un vocabolario dell'italiano rispettoso della proposta purista e arcaizzante, in materia linguistica, di Pietro Bembo. 

Oggi per molti aspetti siamo in una situazione diametralmente opposta: l'italiano esiste come lingua viva, ma l'atteggiamento complessivo degli italiani è di grande disattenzione nei suoi confronti. L'italiano è vissuto come una lingua periferica, provinciale, troppo complicata, poco concreta, di cui complessivamente è bene vergognarsi. Impazzano forestierismi d'ogni tipo, in particolare americanismi e anglicismi; il lessico è piatto e povero, e rispecchia un apprendimento per lo più di basso livello televisivo; la sintassi è mal padroneggiata tanto dalle generazioni passate, ancora in larga misura parlanti il proprio dialetto regionale, quanto da quelle giovani. Anche le istituzioni usano un linguaggio burocratico inutilmente complicato e privo di contatto con l'uso vivo, si direbbe da 'azzeccagarbugli', dimenticando l'importanza di comunicare con chiarezza ed esattezza. Abbiamo una straordinaria letteratura, considerata tra le eccellenti del mondo, ma troppo complessa per la maggior parte delle persone. Insomma, se paragoniamo l'italiano al francese, al tedesco, allo spagnolo, la nostra lingua è la più maltrattata di tutte, anche se - in linea di principio - non c'è persona che non riconosca come la lingua nazionale sia un fattore identitario fondamentale. D'altro canto maltrattiamo anche i nostri monumenti, disertiamo i nostri musei, sconosciamo l'arte che è il nostro tesoro più prezioso, disprezziamo la civiltà musicale italiana, di primissimo livello a livello mondiale. Con tutto questo, incredibilmente, l'italiano continua ad essere una lingua amata e abbastanza studiata dagli stranieri, anche se meno che in passato.

Consegne
Allora, dopo aver letto il testo di Alessandro Verri, provate a fare nei commenti la vostra personale proposta per l'italiano di domani: come deve cambiare la nostra lingua per renderla più adeguata a reggere la sfida della competizione globale e del monopolio dell'inglese? Raccoglieremo tutti i migliori suggerimenti e li faremo pervenire alla casella di posta elettronica dell'Accademia della Crusca, che ovviamente esiste ancora.

lunedì 27 gennaio 2020

3 - Elogio dell'ozio - Riflessione n. 1


Bertrand Russell - L'ozio è essenziale per la civiltà
Bertrand Russell, filosofo, logico, premio Nobel per la letteratura nel 1950







Siamo abituati a pensare che il lavoro sia la parte più importante della nostra vita e uno strumento fondamentale della nostra realizzazione personale. Sacrifichiamo volentieri gli anni della giovinezza per metterci nella condizione di ambire ad una solida posizione lavorativa, dalla quale ci attendiamo prestigio sociale e potere economico. Persino la Costituzione italiana individua nel lavoro il fondamento della Repubblica ed è un luogo comune pensare che sia giusto e naturale dedicare le nostre migliori energie a produrre, come se da questo dipendesse il mantenimento e il progresso della civiltà.

Bertrand Russell osa sfidare queste verità incrollabili e ci butta in faccia provocatoriamente la sua contro-verità.

L'ozio è essenziale per la civiltà e nei tempi antichi l'ozio di pochi poteva essere garantito soltanto dalle fatiche di molti. Tali fatiche avevano però un valore non perché il lavoro sia un bene, ma al contrario perché l'ozio è un bene.[...] Senza una classe oziosa, l'umanità non si sarebbe mai sollevata dalla barbarie. [...]

Il concetto del dovere, storicamente parlando, è stato un mezzo escogitato dagli uomini al potere per indurre altri uomini a vivere per l'interesse dei loro padroni anziché per il proprio.  [...] L'etica del lavoro è l'etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi. [...] In America molti uomini lavorano intensamente anche quando hanno quattrini da buttar via; costoro, com'è naturale, si indignano all'idea di una riduzione dell'orario di lavoro; secondo la loro opinione l'ozio è la giusta punizione dei disoccupati.                                                      [B. Russell, Elogio dell'ozio, 1935

Sullo stesso tema, ecco un altro che si allinea sulle posizioni di Russell:


Una strana follia si è impossessata delle classi operaie delle nazioni in cui domina sovrana la civiltà capitalista. Questa follia trascina con sé le miserie individuali e sociali che da due secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l'amore per il lavoro, la moribonda passione per il lavoro, spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo e della sua progenie. Nella società capitalista il lavoro è la causa di ogni degenerazione intellettuale, di ogni deformazione organica.
[P. Lafargue, Diritto alla pigrizia, 1880]

  • Ma, come fa Russell a sostenere che l'ozio è lo strumento principe del progresso? 
  • Ha senso affermare che, in un certo senso, il lavoro è un ostacolo al cammino della civiltà e un male per tutti?
  • Che cosa pensate dell'etica del lavoro?

Questo spazio è pronto ad accogliere le vostre riflessioni.