giovedì 20 maggio 2021

Come dio comanda - Niccolò Ammaniti



Il romanzo di Niccolò Ammaniti Come dio comanda rappresenta una vicenda in cui il bene e il male sembrano inestricabilmente legati, al punto che nulla ha contorni nitidi, tutto assume un significato differente a seconda dall'angolazione visuale dalla quale lo osserviamo: degrado e innocenza, omertà e lealtà, amore e brutalità si corrispondono.  Questo giudizio può essere esteso dalla trama ai personaggi che popolano il romanzo.
Partendo da questa proposta interpretativa, individuate scene, situazioni, caratteri nei quali riscontrate questa complessità morale e cercate di definire di volta in volta in base a quale codice etico si può giungere ad una valutazione positiva o negativa dello specifico oggetto della rappresentazione letteraria. Domandiamoci infine quali sono i valori che il romanzo ci offre come i più importanti di tutti, quelli in virtù dei quali i protagonisti ci appaiono nella luce degli eroi e non nell'ombra sinistra dei mostri. 

(Scadenza 31/5/2021)

venerdì 19 marzo 2021

Globalizzazione

 


Uno dei problemi fondamentali del multiculturalismo è quello di conciliare una società in cui tutti gli individui godano di pari diritti, rispetto e dignità con le innumerevoli differenze culturali. Ad oggi il modello dominante in questo senso è (forse paradossalmente considerando i precedenti storici) proprio il modello occidentale incentrato sul liberismo economico. Il difetto del liberalismo politico è che viene quasi sempre accompagnato da quello economico, con le sue sfumature degenerate che riconducono a casi di mercificazione culturale e alla logica di omogeneizzazione culturale in chiave consumistica. In quest’ottica il pericolo del liberalismo è quello di diventare cieco alle differenze culturali in quella che dovrebbe essere sul piano teorico la sua neutralità nel riconoscere pari dignità agli individui, ovvero che questi siano considerati al di fuori delle loro origini etnico-culturali e questo è evidente nello scenario dell’individualismo moderno, che non è estraneo alle dinamiche politiche ed economiche del liberismo occidentale. Vi è così il rischio di stipulare un Contratto Sociale di tipo rousseauiano degenerato, per cui per il bene collettivo oltre ad una parte di libertà individuale si rinuncia a buona parte dell’identità culturale. Il contesto della globalizzazione è terreno fertile per un fenomeno di questo tipo, in quanto per entrare in contatto con il resto del mondo globalizzato necessariamente si rinuncia a delle realtà di dimensione locale.

mercoledì 4 marzo 2020

4 - L'illuminismo e la questione della lingua.


Risultato immagini per alessandro verri rinunzia avanti notaio al vocabolario della crusca

Lo sappiamo bene: l'illuminismo ha innovato in ogni campo. Lo spirito illuministico è, nella sua essenza, una rivolta contro la tradizione e contro il principio di autorità implicitamente operante in ogni pratica considerata vera in sé in quanto proveniente dal passato. Questo fervore di demistificazione di verità ritenute incrollabili ha operato - com'è ovvio - anche nei confronti della lingua, cioè dello strumento principe per mezzo del quale si doveva concretizzare quella predicazione della razionalità che era uno dei pilastri della cultura illuministica. Non si può infatti dare una buona comunicazione se non si usa efficacemente il linguaggio. Dunque, che cosa ne pensavano gli illuministi lombardi dell'italiano?
Prima di leggere la risposta nel testo che potete leggere cliccando sul link qui sotto, ricordiamoci qual era la condizione dell'Italia nel XVIII secolo: una penisola politicamente divisa, ormai da secoli sottoposta al controllo di potenze straniere (dal 1559 la Spagna e a partire dal 1714 dall'Austria), con una koinè linguistica limitata alla belle lettere, che ovviamente, in un paese per lo più analfabeta, circolavano pochissimo. L'italiano esisteva ufficialmente dai primi decenni del Cinquecento, ma nella produzione di nuovi testi era prescritto l'utilizzo del vocabolario, della morfologia e della sintassi di Dante, Petrarca e Boccaccio, cioè di autori di due secoli prima. L'italiano nel '700 non era dunque una lingua viva nel senso moderno del termine, in quanto effettivamente non era parlata praticamente da nessuno. Inoltre, anche chi la padroneggiava, l'aveva acquisita, in fondo, in modo non dissimile dal latino, cioè studiandola su testi di quattro secoli prima e su un repertorio di argomenti - per forza di cose - di carattere letterario, non di vita quotidiana o di attualità. E' in questa prospettiva che va letta la polemica di Alessandro Verri, apparsa sul "Caffè" nel 1764. L'obiettivo contro cui si scaglia è l'Accademia della Crusca, cioè l'istituzione culturale che, dalla sua fondazione nel 1583, si occupava di redigere un vocabolario dell'italiano rispettoso della proposta purista e arcaizzante, in materia linguistica, di Pietro Bembo. 

Oggi per molti aspetti siamo in una situazione diametralmente opposta: l'italiano esiste come lingua viva, ma l'atteggiamento complessivo degli italiani è di grande disattenzione nei suoi confronti. L'italiano è vissuto come una lingua periferica, provinciale, troppo complicata, poco concreta, di cui complessivamente è bene vergognarsi. Impazzano forestierismi d'ogni tipo, in particolare americanismi e anglicismi; il lessico è piatto e povero, e rispecchia un apprendimento per lo più di basso livello televisivo; la sintassi è mal padroneggiata tanto dalle generazioni passate, ancora in larga misura parlanti il proprio dialetto regionale, quanto da quelle giovani. Anche le istituzioni usano un linguaggio burocratico inutilmente complicato e privo di contatto con l'uso vivo, si direbbe da 'azzeccagarbugli', dimenticando l'importanza di comunicare con chiarezza ed esattezza. Abbiamo una straordinaria letteratura, considerata tra le eccellenti del mondo, ma troppo complessa per la maggior parte delle persone. Insomma, se paragoniamo l'italiano al francese, al tedesco, allo spagnolo, la nostra lingua è la più maltrattata di tutte, anche se - in linea di principio - non c'è persona che non riconosca come la lingua nazionale sia un fattore identitario fondamentale. D'altro canto maltrattiamo anche i nostri monumenti, disertiamo i nostri musei, sconosciamo l'arte che è il nostro tesoro più prezioso, disprezziamo la civiltà musicale italiana, di primissimo livello a livello mondiale. Con tutto questo, incredibilmente, l'italiano continua ad essere una lingua amata e abbastanza studiata dagli stranieri, anche se meno che in passato.

Consegne
Allora, dopo aver letto il testo di Alessandro Verri, provate a fare nei commenti la vostra personale proposta per l'italiano di domani: come deve cambiare la nostra lingua per renderla più adeguata a reggere la sfida della competizione globale e del monopolio dell'inglese? Raccoglieremo tutti i migliori suggerimenti e li faremo pervenire alla casella di posta elettronica dell'Accademia della Crusca, che ovviamente esiste ancora.

lunedì 27 gennaio 2020

3 - Elogio dell'ozio - Riflessione n. 1


Bertrand Russell - L'ozio è essenziale per la civiltà
Bertrand Russell, filosofo, logico, premio Nobel per la letteratura nel 1950







Siamo abituati a pensare che il lavoro sia la parte più importante della nostra vita e uno strumento fondamentale della nostra realizzazione personale. Sacrifichiamo volentieri gli anni della giovinezza per metterci nella condizione di ambire ad una solida posizione lavorativa, dalla quale ci attendiamo prestigio sociale e potere economico. Persino la Costituzione italiana individua nel lavoro il fondamento della Repubblica ed è un luogo comune pensare che sia giusto e naturale dedicare le nostre migliori energie a produrre, come se da questo dipendesse il mantenimento e il progresso della civiltà.

Bertrand Russell osa sfidare queste verità incrollabili e ci butta in faccia provocatoriamente la sua contro-verità.

L'ozio è essenziale per la civiltà e nei tempi antichi l'ozio di pochi poteva essere garantito soltanto dalle fatiche di molti. Tali fatiche avevano però un valore non perché il lavoro sia un bene, ma al contrario perché l'ozio è un bene.[...] Senza una classe oziosa, l'umanità non si sarebbe mai sollevata dalla barbarie. [...]

Il concetto del dovere, storicamente parlando, è stato un mezzo escogitato dagli uomini al potere per indurre altri uomini a vivere per l'interesse dei loro padroni anziché per il proprio.  [...] L'etica del lavoro è l'etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi. [...] In America molti uomini lavorano intensamente anche quando hanno quattrini da buttar via; costoro, com'è naturale, si indignano all'idea di una riduzione dell'orario di lavoro; secondo la loro opinione l'ozio è la giusta punizione dei disoccupati.                                                      [B. Russell, Elogio dell'ozio, 1935

Sullo stesso tema, ecco un altro che si allinea sulle posizioni di Russell:


Una strana follia si è impossessata delle classi operaie delle nazioni in cui domina sovrana la civiltà capitalista. Questa follia trascina con sé le miserie individuali e sociali che da due secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l'amore per il lavoro, la moribonda passione per il lavoro, spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo e della sua progenie. Nella società capitalista il lavoro è la causa di ogni degenerazione intellettuale, di ogni deformazione organica.
[P. Lafargue, Diritto alla pigrizia, 1880]

  • Ma, come fa Russell a sostenere che l'ozio è lo strumento principe del progresso? 
  • Ha senso affermare che, in un certo senso, il lavoro è un ostacolo al cammino della civiltà e un male per tutti?
  • Che cosa pensate dell'etica del lavoro?

Questo spazio è pronto ad accogliere le vostre riflessioni. 

giovedì 31 ottobre 2019

2 - Halloween o 'batar marso'?




Un articolo su "batar marso"

Come ogni anno infuria la polemica riguardo ad Halloween. "E' una festività estranea alla nostra storia e alla nostra cultura, che si è fatta breccia in Europa grazie all'imposizione subdola di mass media e pubblicità, ed è per giunta macabra e poco salutare" dicono le persone più attempate; "è un modo come un altro di divertirsi e di lasciarsi piacevolmente contaminare da tutto ciò che di più intrigante esiste al mondo" ribattono molti fra i più giovani.
Di certo, siamo sempre più invasi da oggetti, pratiche, rituali, da una cultura che è perlopiù quella americana: jeans, felpe col cappuccio, rap, toast, hamburger, binge drinking, black friday, fast food, ecc. Per non parlare della lingua italiana, che è ormai irrimediabilmente inquinata da termini anglosassoni. Al contrario, antiche tradizioni, sopravvissute per secoli, restano abbandonate in un angolo e vengono presto dimenticate. Per esempio 'batar marso', tradizione antica e tutta veneta. Abbiamo avuto nonni e genitori che hanno battuto marzo, o festeggiato il carnevale, ma nessuno di loro ha suonato campanelli chiedendo: "Dolcetto o scherzetto?". Perché, allora, oggi la tradizione importata, posticcia e decontestualizzata prospera e la tradizione vera è disconosciuta.
Voi che appartenete alla nuova generazione siete esterofili o tradizionalisti? E' un male aprirsi alle altre culture o è la normalità di un mondo sempre più ridotto a villaggio globale?

martedì 7 luglio 2015

That's all Folks!


...no, davvero Tweety, è stato un gioco da ragazzi...

Cara ex V^ A,

che farete da domani in poi, ora che il "giochino dell'estate" è finito? 
Chissà che noia terribile...
Prima di lasciarvi alle vostre nere depressioni, mi permetto ancora due paroline di circostanza (le ultime, giuro!).

Domani è giornata di 'classifiche', tempo ideale per tragedie greche (come se non ce ne fossero già abbastanza in giro).
Vogliamo dire una volta per tutte che il voto di maturità non è sempre giusto, ma che ciò non è affatto una tragedia? E che influiscono su quel voto mille fattori imprevedibili che sfuggono al controllo di tutti: di chi l'esame lo sostiene e di chi invece esamina?

Forse non ci credete, ma è proprio così.

Eccoci allora al punto: qualunque sia il numerino che vi ritroverete appiccicato addosso, è chiaro che tutti voi, uno per uno, valete infinitamente di più. Un uccellino mi ha detto che c'è solo un campo in cui si dimostra di che stoffa si è fatti, ed è la vita. Ed anche là, non si sa mai fino alla fine il voto che ci si merita.
Dunque, in effetti il giochino non è per niente finito; anzi, diciamo che la partita vera comincia proprio adesso. Mettiamola così, è finito il riscaldamento!

Adesso che il gioco si fa duro, da bravo allenatore che ce l'ha messa tutta, io mi siedo fiducioso in panchina e mi godo lo spettacolo.
E questo è veramente tutto, gente!

In bocca al lupo!

S.D.

Attenzione, questo blog si autodistruggerà entro  48 ore!