mercoledì 4 marzo 2020

4 - L'illuminismo e la questione della lingua.


Risultato immagini per alessandro verri rinunzia avanti notaio al vocabolario della crusca

Lo sappiamo bene: l'illuminismo ha innovato in ogni campo. Lo spirito illuministico è, nella sua essenza, una rivolta contro la tradizione e contro il principio di autorità implicitamente operante in ogni pratica considerata vera in sé in quanto proveniente dal passato. Questo fervore di demistificazione di verità ritenute incrollabili ha operato - com'è ovvio - anche nei confronti della lingua, cioè dello strumento principe per mezzo del quale si doveva concretizzare quella predicazione della razionalità che era uno dei pilastri della cultura illuministica. Non si può infatti dare una buona comunicazione se non si usa efficacemente il linguaggio. Dunque, che cosa ne pensavano gli illuministi lombardi dell'italiano?
Prima di leggere la risposta nel testo che potete leggere cliccando sul link qui sotto, ricordiamoci qual era la condizione dell'Italia nel XVIII secolo: una penisola politicamente divisa, ormai da secoli sottoposta al controllo di potenze straniere (dal 1559 la Spagna e a partire dal 1714 dall'Austria), con una koinè linguistica limitata alla belle lettere, che ovviamente, in un paese per lo più analfabeta, circolavano pochissimo. L'italiano esisteva ufficialmente dai primi decenni del Cinquecento, ma nella produzione di nuovi testi era prescritto l'utilizzo del vocabolario, della morfologia e della sintassi di Dante, Petrarca e Boccaccio, cioè di autori di due secoli prima. L'italiano nel '700 non era dunque una lingua viva nel senso moderno del termine, in quanto effettivamente non era parlata praticamente da nessuno. Inoltre, anche chi la padroneggiava, l'aveva acquisita, in fondo, in modo non dissimile dal latino, cioè studiandola su testi di quattro secoli prima e su un repertorio di argomenti - per forza di cose - di carattere letterario, non di vita quotidiana o di attualità. E' in questa prospettiva che va letta la polemica di Alessandro Verri, apparsa sul "Caffè" nel 1764. L'obiettivo contro cui si scaglia è l'Accademia della Crusca, cioè l'istituzione culturale che, dalla sua fondazione nel 1583, si occupava di redigere un vocabolario dell'italiano rispettoso della proposta purista e arcaizzante, in materia linguistica, di Pietro Bembo. 

Oggi per molti aspetti siamo in una situazione diametralmente opposta: l'italiano esiste come lingua viva, ma l'atteggiamento complessivo degli italiani è di grande disattenzione nei suoi confronti. L'italiano è vissuto come una lingua periferica, provinciale, troppo complicata, poco concreta, di cui complessivamente è bene vergognarsi. Impazzano forestierismi d'ogni tipo, in particolare americanismi e anglicismi; il lessico è piatto e povero, e rispecchia un apprendimento per lo più di basso livello televisivo; la sintassi è mal padroneggiata tanto dalle generazioni passate, ancora in larga misura parlanti il proprio dialetto regionale, quanto da quelle giovani. Anche le istituzioni usano un linguaggio burocratico inutilmente complicato e privo di contatto con l'uso vivo, si direbbe da 'azzeccagarbugli', dimenticando l'importanza di comunicare con chiarezza ed esattezza. Abbiamo una straordinaria letteratura, considerata tra le eccellenti del mondo, ma troppo complessa per la maggior parte delle persone. Insomma, se paragoniamo l'italiano al francese, al tedesco, allo spagnolo, la nostra lingua è la più maltrattata di tutte, anche se - in linea di principio - non c'è persona che non riconosca come la lingua nazionale sia un fattore identitario fondamentale. D'altro canto maltrattiamo anche i nostri monumenti, disertiamo i nostri musei, sconosciamo l'arte che è il nostro tesoro più prezioso, disprezziamo la civiltà musicale italiana, di primissimo livello a livello mondiale. Con tutto questo, incredibilmente, l'italiano continua ad essere una lingua amata e abbastanza studiata dagli stranieri, anche se meno che in passato.

Consegne
Allora, dopo aver letto il testo di Alessandro Verri, provate a fare nei commenti la vostra personale proposta per l'italiano di domani: come deve cambiare la nostra lingua per renderla più adeguata a reggere la sfida della competizione globale e del monopolio dell'inglese? Raccoglieremo tutti i migliori suggerimenti e li faremo pervenire alla casella di posta elettronica dell'Accademia della Crusca, che ovviamente esiste ancora.

51 commenti:

  1. Alessandro Verri sosteneva la necessità di una lingua non morta ed ancorata al passato, ma di un sistema linguistico vivo ed in continua evoluzione, aperto alle influenze dialettali e anche a quelle straniere nel momento in cui risultino fonte di arricchimento e permettano di esprimere concetti in modo maggiormente efficace e diretto.
    Oggi sembra però che le persone siano sempre più ignoranti ed anche il lessico utilizzato è sempre più povero e monotono, ripetitivo. Il problema della lingua italiana, paradossalmente, è quello di essere parlata dagli italiani. Siamo un popolo pigro, che ha perso il lume della ragione (tanto per stare in tema) e che non è più capace di filtrare ciò che viene dall’esterno. Abbiamo un atteggiamento passivo all’informazione come all’assimilazione. Sembra non ci siano più pensieri propri ma un continuo ripetersi delle idee che maggiormente sono in voga al momento della comunicazione. Questo si rispecchia di conseguenza nello strumento principe della comunicazione, ovvero il linguaggio, ed essendo la cultura anglosassone quella che da due secoli a questa parte crea e plasma le “mode”, noi come piccoli cagnolini le seguiamo.
    Vero è anche che l’uso della lingua inglese è dominante per motivi economici, l’inglese è la lingua veicolare nel mondo, e questo non è, per me, né da mettere in discussione né da criticare.
    Come dice Verri, la lingua deve trasmettere in modo chiaro i concetti ed evolversi per rendere lo scambio comunicativo il più efficiente possibile. La causa dell’imbarbarimento della lingua è quindi da identificare nelle persone che la utilizzano. E mediamente noi, cari fratelli italiani, non siamo intellettualmente ad alti livelli, anzi.

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    1. Concordo con il pensiero di Boldrin nell’affermare che ormai è la lingua inglese quella che domina nel mondo. Secondo me i motivi di questo grande sviluppo sono innanzitutto economici perché tutte le più grandi potenze parlano lingue anglosassoni e in secondo luogo perché è una lingua semplice. Infatti anche la Cina è una grande potenza ma la sua lingua viene difficilmente appresa perché molto complessa. Usando come base la lingua inglese proporrei alla Crusca di semplificare la nostra lingua innanzitutto partendo dai verbi. Non renderei obbligatorio l’uso del congiuntivo nella forma scritta, ormai andato anche in disuso nella forma parlata, e come in inglese eliminerei il soggetto sottinteso per rendere la lingua più immediata. Paradossalmente proporrei però di aumentare i latinismi, ovvero cambierei certe parole con altre di origine neolatina. Questa proposta parte dal presupposto che la nostra lingua risulterebbe sicuramente di più facile comprensione a parlanti lingue romanze. Inoltre sarebbe accessibile anche ai britannici che nel loro linguaggio colto utilizzano molti termini di origine latina. Quest’ultimo provvedimento anche se inizialmente complicato da attuare, secondo me, è il giusto compromesso tra tradizione e innovazione.
      Quindi con una sintassi più semplice, simile all’inglese, e un lessico di più facile comprensione alle altre lingue l’italiano potrebbe riuscire a diffondersi con più facilità.

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  2. Dear Boldrin, non vorrei spoilerare il tuo intervento e compromettere il tuo tentativo di rankarti nella top ten degli studenti di 4 A, ma non mi posso trattenere dal fare outing su un topic così cool. Perciò ti chiedo: hai una amazing proposta per l'italiano of the future? I.e. sostituire 'gli' al pronome femminile 'le', oppure cominciare a usare 'ministra' al posto di 'ministro' in presenza di una user donna? Keep calm e cerca di essere concreto. Ti stimo bro, sai che sono un tuo follower e non vedo l'ora di poterti mettere un like, ma devi sforzarti di produrre un great job. That's it.

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  3. Egregiuos Mr. D'Ambrosio,
    l'argomento è sicuramente tosto.
    Quando in classe dibattevamo riguardo l'utilizzo unificato del pronome "gli" per comprendere entrambi i generi e snellire la lingua mi sono subito domandato come il rendere "legale" (a livello dell'Accademia della Crusca intendo) l'ignoranza sia un metodo per combattere la stessa.
    Non ci sono proposte concrete che si possono fare, secondo me, per cambiare la lingua italiana in quanto essa è il frutto di una pluralità di stili e modi degli italiani. Per cui credo che più concreto dell'istruzione, unico modo per in qualche modo formare una persona, non vi possa essere nulla.

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  5. Se vogliamo parlare, invece, come mi sembra voglia farmi capire, di problemi puramente pratici e legati alla complessità della nostra lingua, allora una proposta secondo me interessante potrebbe essere quella di tentare di semplificare il labirintico mondo dei verbi che nella lingua italiana sono davvero tanti: è davvero così importante il passato remoto?

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    2. Nel parlato dell'Italia settentrionale il passato remoto è certamente disusato, e non ho difficoltà ad ammettere che anch'io faccio fatica a usarlo correntemente; anzi, quando mi capita, personalmente mi sento strano. Per l'Italia meridionale il discorso è molto diverso: si assiste infatti ad un uso esagerato nel senso opposto. Direi, però, che il ragionamento non si applica all'impiego del passato remoto nel testo scritto, dove questo tempo è usatissimo e suona perfettamente naturale.

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  6. La lingua è una materia soggetta a continui cambiamenti. Questi cambiamenti che avvengono, sono il risultato dell’avanzamento della società in cui viviamo che continua ad evolversi, a creare, a modificare e talvolta ad eliminare tutto ciò che ci circonda, dunque anche la lingua si deve evolvere stando al passo con le metamorfosi che avvengono intorno a noi. I cambiamenti sono più soggetti alla lingua parlata più che quella scritta poiché meno soggetta a restrizioni e regole, quella scritta non deve essere da meno per stare al passo coi tempi.

    Per la lingua scritta la storia però la storia è molto più complicata di quella parlata. Ci sono state imposte fila di regole grammaticali e logiche che, ovviamente permettono che ci sia universalmente una scrittura capibile da tutti, ma quando le regole cominciano a diventare troppe, queste non fanno altro che limitare il nostro pensiero e la possibilità di esprimere le nostre idee. Dato questo, è bene si che l’egregia accademia non si limiti ad aggiungere nuove direttive per regolamentare lo scritto alla nascita di nuovi modi di parlare,
    ma si occupi anche di modificare le regole ormai datate che bloccano e rallentano solo, l’evoluzione della lingua nella sua interezza. Infatti non utilizziamo le stesse regole del latino perché è considerata una lingua diversa, separata dall’italiano di adesso e lo stesso vale per il volgare, anche se il tutto è una continua evoluzione della stessa lingua non abbiamo modificato le regole già esistenti, abbiamo creato direttamente una nuova lingua. Questo dimostra come siamo flessibili quando si tratta di aggiungere e creare, ma anche come siamo rigidi quando si tratta di modificare qualcosa già esistente.

    In sostanza chiederei che l’accademia alla quale mi rivolgo valuti il fatto che la lingua comincia la sua evoluzione nel parlato ma, rallenta o addirittura si blocca nello scritto perché non predisposto ad adattarsi alla novità e piuttosto viene creata una completa nuova lingua invece che modificare le regole di quella vecchia, e chiederei che questo problema venisse superato anche per adeguarsi ai tempi caratterizzati da una continua evoluzione.

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  7. Arrivati al ventunesimo secolo, con lingua globale l’inglese, che lo è diventata non solo per motivi economici, ma anche storici e per comodità (perché se fosse solo per questioni economiche probabilmente, tra poco, la lingua globale dovrà essere il cinese ), le lingue nazionali, come il francese, il tedesco, lo spagnolo (ecc ecc.. ), per quanto mi riguarda rimarranno isolate nel proprio territorio. È una visione utopica quella di diffondere l’italiano nel resto del mondo e renderlo a livello globale. È già difficile far raggiungere una buona padronanza non solo ai madre lingua, ma anche agli abitati stranieri che abitano il nostro paese. Bisognerebbe concentrarsi su un italiano semplice, non dico ripetitivo, ma con un gergo moderno, eliminando (o lasciandoli ai veri interessati) quei termini che non si leggono da secoli nei libri. Questo se si vuole andare incontro al nostro tipo di popolazione, la quale si adagia su di una lingua fatta, senza modificarla ma senza neanche studiarla, che si spaventa davanti paroloni troppo complessi senza poi informarsi sul proprio significato. Bisognerebbe accogliere quei termini specifici , senza però sostituirli con i nostri qualora esistano già. Per quanto riguarda la grammatica, modificarla sarebbe come cambiare la base della nostra lingua, quindi impossibile.

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  8. Un consiglio per rendere più adeguata la lingua italiana e reggere la sfida della competizione globale?
    Prenderei in considerazione due possibili schieramenti: l’essere tradizionalisti e quindi il voler mantenere la lingua italiana il più possibile simile a quella creata centinaia di anni fa, oppure la scelta più coerente con quella che al giorno d’oggi è la globalizzazione, ovvero la lenta omologazione di tutto ciò che ci ruota attorno (e quindi la sempre più frequente presenza di parole straniere nella nostra lingua). Trovo quest’ultima alternativa più adeguata. Questo, senza però perdere del tutto quella che è la nostra tradizione, ovvero l’uso dell’italiano. L’unico consiglio che mi viene in mente potrebbe essere applicato alla scuola, ovvero una delle principali istituzioni che dovrebbe avere il compito di insegnarci l’uso delle lingue e il modo in cui applicarle. Ciò che proporrei è quindi il rafforzamento dell’insegnamento della lingua italiana e contemporaneamente quello della lingua inglese. Questo perché ritengo che entrambe le citate lingue siano importanti e necessarie all’interno del mondo d’oggi. Cercando di fare questo, quindi, farei una selezione dettagliata delle informazioni indispensabili da trasmettere per entrambe le lingue, tralasciando l’inessenziale. In questo modo, il risultato sarebbe quello di una società con una conoscenza delle lingue media.
    Infine, lascerei comunque la possibilità a coloro che sono interessati di approfondire, in un momento successivo, la lingua da loro maggiormente apprezzata.

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  9. Come dovrebbe essere l’Italiano del futuro? Difficile dare una risposta, ad oggi direi che non avrà vita lunga. L’inglese ormai è usato quotidianamente e tantissimi sinonimi italiani sono già finiti nel dimenticatoio, ma c’è ancora una speranza. La nostra lingua è ricchissima di vocaboli, che ci permettono di esprimere le mille sfaccettature dei nostri pensieri e sarà questo che molto probabilmente salverà la nostra lingua dalla strada del dimenticatoio che, se si continua così, non tarderà a prendere. Il problema dell’italiano sono gli italiani, per seguire la moda del momento abbiamo permeato la nostra lingua di anglicismi. Se la moda fosse l’italiano, boh non dubito che saremmo tutti sui libri a studiare per dimostrare la nostra padronanza della lingua. Come diceva il mio compagno Boldrin, l’unico modo per contrastare l’imbarbarimento della nostra lingua è l’istruzione e sicuramente ricordare a chi lavora con i media, giornalisti per primi, che anche loro contribuiscono all’istruzione del popolo e che dovrebbero essere i primi ad evitare l’imbarbarimento della lingua.

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  10. Se oggi Alessandro Verni fosse qui si renderebbe conto di come abbiamo ridotto male la lingua italiana. Oggi l’italiano è una lingua viva, ma poco rispettata. Dal mio punto di vista siamo così tanto rivolti al progresso che ci stiamo dimenticando della nostra storia. Alla base della bellezza della nostra lingua sta sicuramente la sua complessità. Complessità che non viene riconosciuta dalle tendenze linguistiche del popolo odierno, il quale nel parlato e nello scritto non segue le regole grammaticali e di sintassi. Un popolo che generalmente dimostra un atteggiamento così autoironico nei propri confronti e che si sottovaluta in diversi ambiti, non può che non prendersi cura della propria lingua.
    Quindi mi chiedo: come sarà la lingua italiana del futuro?
    Questo credo dipenderà dalla considerazione che la popolazione italiana avrà di sè, ma per ora ho un suggerimento.
    Proporrei di tradurre alcuni anglicismi ad esempio parole come “computer” la quale è traducibile sia in spagnolo che in francese ma non ancora in italiano. Questo ci renderebbe un po' più ‘indipendenti’ dalla lingua inglese, la quale si sta imponendo sempre di più sul nostro linguaggio. Sono convinta che l’utilizzo di parole straniere sia un bene per arricchirci e contribuire alla globalizzazione, ma quando queste parole diventano troppe rischiano di sfregiare la nostra lingua.
    In secondo luogo, come ha suggerito anche il professor D’Ambrosio, proporrei di rendere alcune parole maschili anche femminili (ad es. architetto - architetta) in modo da riconoscere anche dal punto di vista linguistico l’uguaglianza dei due sessi.

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    1. Io non sono d’accordo con te, secondo me il dover “maltrattare” una lingua è un’esigenza dettata dall’economia che cambia velocemente e richiede quindi rapidità e semplicità.In questa epoca consumistica l’economia è considerata più importante della storia e dell’arte.
      L’andare a introdurre termini che traducano parole inglesi secondo me sarebbe solo un modo per rallentare ancora di più la nostra lingua e renderla meno adatta al mondo che si evolve velocemente.

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    2. Valeria, capisco quello che vuoi dire e in parte sono anche d’accordo con te. Ma con l’esempio che ho fatto si tratterebbe solamente di cambiare la parola, non il concetto o l’idea di computer. Non vedo come questo possa rallentare la nostra lingua o comunque renderla meno adatta al contesto economico-sociale in cui ci troviamo. Ti faccio un altro esempio più concreto e molto attuale: la possibilità di poter lavorare da casa è sempre stata denominata “smart working”. Recentemente al Tg tale denominazione è stata più volte tradotta in “lavoro agile” e molte aziende hanno adottato questa definizione. Rende comunque bene il senso e aiuta a limitare un'eccessiva contaminazione della nostra lingua.

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    3. sono stato 'friendzonato': la ragazza con cui intraprendevo un rapporto di amicizia ha incominciato a destare in me maggior interesse di quello che avrei dovuto avere per lei nel caso di un legame fondato sulla mera amicizia, e dopo averglielo confidato lei preferì continuare con il rapporto pre-instaurato.

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    4. 1)
      Computer = ordenador (spagnolo)
      Computer= ordinateur (Francese)
      Smart working= lavoro agile
      Come vedi sono facilmente traducibili
      2)
      Leggi bene cosa ho scritto nel mio primo commento:
      “Sono convinta che l’utilizzo di parole straniere sia un bene per arricchirci e contribuire alla globalizzazione, ma quando queste parole diventano troppe rischiano di sfregiare la nostra lingua”.
      Detto questo, non credi sia meglio conservare la lingua italiana dove è possibile?

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    5. Secondo me per i termini chiave dell’economia invece il fatto che siano in inglese e quindi universali per tutti rende il tutto più facile e semplice e evita ci possano essere fraintendimenti soprattutto in un economia aperta e globale.
      Inoltre a volte una parola in una lingua non fa riferimento a una parola in un’altra lingua ma a un concetto quindi una traduzione potrebbe non essere calzante, prendiamo l’esempio della “friend-zone” proposto da Tommaso, tu come la tradurresti usando una o al massimo due parole?

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  12. Oggigiorno l’italiano si attesta come la ventunesima lingua più parlata al mondo, con circa 120 milioni di persone che utilizzano tale lingua, distribuiti in 26 paesi.
    Tuttavia, non da molti anni essa viene studiata assiduamente. Se, ad esempio. pensiamo ai nostri nonni, la maggior parte dei quali ha frequentato la scuola fino alla quinta elementare è dunque facile intuire che dispongono di una limitatissima conoscenza dell’italiano dal punto di vista grammaticale. I nonni, infatti, sono soliti utilizzare il dialetto come lingua abituale; ma il problema della lingua si sta diffondendo anche tra i giovani che, nonostante studino l’italiano in larga misura a scuola, non padroneggiano la sintassi, usano spesso anglicismi e americanismi e spesso disprezzano lo studio della grammatica e della letteratura italiana, preferendo scambiare messaggi sullo smartphone, convinti di conoscere bene la lingua.
    Come è facile notare anche io ho appena usato un anglicismo, poiché tali termini sono entrati totalmente nella struttura della nostra lingua, una lingua che sta sempre più perdendo la sua identità, venendo continuamente contagiata dai termini inglesi, una lingua che ormai è obbligatorio conoscere come conseguenza della globalizzazione. L’inglese si attesta al secondo posto tra le lingue più parlate al mondo, dietro al cinese mandarino, con 1.375 milioni di persone che la parlano.
    Gli italiani vedono la nostra lingua come troppo complicata e poco concreta; si limitano ad apprenderla in modo piatto, raggiungendo la padronanza di un lessico minimale, tale da permettere loro una comunicazione che utilizza un lessico limitato e non sempre appropriato. Questa situazione è stata determinata anche a causa delle istituzioni, che usano un linguaggio aulico e complicato, non riuscendo a trasmettere messaggi chiari.
    Nonostante tutte queste problematiche, l’italiano si attesta come la quarta lingua più studiata al mondo, contando 2.145.093 studenti in 115 paesi.
    Come detto, il problema principale della nostra lingua è la grammatica: va ricordato che l’italiano è nato come lingua scritta e nella lingua scritta la grammatica è diversa da quella della lingua parlata.
    Mentre la prima permette una successiva rilettura e correzione, quando si parla deve si adattare la propria lingua alla situazione e all’interlocutore e quindi improvvisare. Un esempio può essere l’uso del congiuntivo: nel parlato si tende ad utilizzare molto poco la subordinazione, si danno informazioni in modo corrente e coordinato; diversamente da quanto si attua nello scritto.
    Rispetto ad altre lingue romanze, nelle quali il rapporto tra scritto e parlato c’è da secoli e si è giunti ad una semplificazione della grammatica e della morfologia come ora bisognerebbe cercare di fare anche con l’italiano.
    Ad ogni modo ritengo che ormai il monopolio raggiunto dall’inglese sia incontrastabile; esso infatti è usato in maniera preminente ovunque, ed è diventato la lingua veicolare del mondo. Tuttavia noi italiani, richiamando quanto affermato da Alessandro Verri nella ”Rinunzia avanti al Vocabolario della Crusca”, dovremmo cercare continuamente di arricchire e migliorare la nostra lingua attraverso l’italianizzazione di parole straniere che possono rendere meglio le nostre idee, in modo da tenere anche il passo con la globalizzazione.
    Dunque la mia proposta per l’italiano del futuro prevede una semplificazione della grammatica come potrebbe per esempio essere l’uso del pronome “gli” sia per maschile e femminile e l’integrazione di parole provenienti da lingue straniere nella nostra lingua, per i motivi citati sopra.

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  14. Alice Moino
    Alessandro Verri sulla rivista ‘Caffe’ nel 1764 pubblicò un articolo intitolato ‘Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca’; in esso egli tratta il tema della lingua italiana schierandosi, in un certo senso, contro l’Accademia della Crusca, elencando e argomentando sette motivi per i quali la lingua italiana non dovrebbe attenersi in modo ossessivo al Vocabolario della Crusca. La lingua italiana che viene utilizzata nella vita di tutti i giorni non è certamente corretta; con corretta intendo dire che segue precisamente tutte le regole grammaticali. Infatti è comune, quando si parla, non fare caso alla grammatica oppure all'utilizzo di termini dialettali ma si cerca di farsi capire in modo diretto; al contrario quando si scrive ad esempio un tema, una lettera importante o si scrive ad una persona di rilievo, si sta attenti a non commettere errori.
    Ci si potrebbe quindi chiedere: non sarebbe più semplice utilizzare le stesse regole sia per lo scritto che per l'orale? Sì, sarebbe più comodo ma sicuramente poco elegante e piuttosto porterebbe all’uso di un lessico base. Infatti credo che praticamente nessuno cercherebbe di parlare con termini aulici ma utilizzerebbe pochi vocaboli e di ‘scarsa qualità’.
    Sarebbe più opportuno invece, secondo me, semplificare le regole grammaticali ad esempio eliminando tempi verbali poco utilizzati perché ritenuti poco utili, però sarebbe conveniente mantenere l’uso dei termini presenti nel Vocabolario dell’Accademia della Crusca permettendo, come aveva affermato anche Verri, l’introduzione di nuovi vocaboli anche appartenenti a lingue straniere purché servano ad una miglior comprensione di determinate idee; questo perché è giusto mantenere la tradizione oltre che un ricco vocabolario però è anche giusto che esso venga aggiornato aggiungendo nuove parole senza sostituire quelle più antiche. Credo quindi che solo la semplificazione della nostra lingua, oltre che la continua istruzione, possa far si che questa venga maggiormente utilizzata a livello globale così da poter, forse un giorno, competere con la lingua inglese che attualmente è la è più utilizzata al mondo perché caratterizzata da regole molto semplici.

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  16. La lingua è quel qualcosa che se sbriciolata, sviscerata e assemblata in modo -se pur artistico- grammaticalmente corretto, rende un discorso potenzialmente mediocre, in piacevole e perfino interessante.
    La lingua di mero valore estetico è in via di estinzione e questo, per un motivo prettamente sociale e funzionale. Da questo punto bisogna scindere i due possibili dibatti: se sia una buona o cattiva cosa la perdita della tecnica del saper parlare (cattiva!!!), o la competizione globale dell’italiano con le lingue estere.
    In Francia-Russia-Inghilterra e negli Stati uniti la tradizione è morta, come lo è il bagaglio delle parole ‘inutili’, dove l’istruzione è intervenuta per eliminarlo e ridurre così, per esempio, l’inglese indispensabile ad 800 parole. L’Italia purtroppo o per fortuna non l’ha ancora fatto, ed il fenomeno si sta quindi verificando -per via della globalizzazione- con l’italianizzazione di parole inglesi (Skippare/Quittare/Shottare) per racchiudere concetti che in italiano andrebbero spiegati con più parole, talvolta nemmeno conosciute.
    Se vogliamo essere competitivi bisogna adattarsi al “trend” culturale globale e quindi applicare riforme per eliminare tutte le parole italiane ‘inutili’ o complesse; in modo tale da essere sempre di più compresi, studiati e capiti all’estero con la nostra lingua natale (un po' come lo spagnolo). La società oggi è frenetica, veloce e funzionale; non ci si ferma più a pensare a discutere a filosofare, ma a produrre, produrre e produrre. Più la lingua è semplice più i tempi per dire qualcosa si restringono e tutto ciò arriva in modo diretto, senza mezzi termini.

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  17. Vedo che molti spostano il baricentro del ragionamento sulla competizione 'impossibile' con la lingua inglese. Riguardo a questo, farei sommessamente notare che lingue internazionali in passato sono sempre esistite e sono state di volta in volta il greco, il latino, il genovese, il francese, ecc. Storicamente non si è però mai verificata un'estinzione linguistica di massa per suicidio volontario dei membri della comunità parlanti quella lingua. Tuttavia, anche ammettendo che viviamo in tempi eccezionali privi di precedenti nella storia, io credo che nessuno abbia niente in contrario riguardo all'esistenza di una lingua internazionale ed, anzi, mi pare che gli sforzi di tutti vadano nella direzione di impararla davvero questo lingua, cosa che - peraltro - siamo ben lontani dal realizzare. Il punto, però, è che la lingua non è un bene come tanti altri. Proviamo ad immaginare cosa significherebbe essere creature senza linguaggio: saremmo atomi isolati nello spazio e qualunque attività diventerebbe impossibile. Il linguaggio ci esprime, ma anche ci definisce; di linguaggio si sostanziano i nostri pensieri e i nostri sentimenti, e chi parla male sicuramente pensa male. Come vi sentite quando provate ad esprimervi in inglese o in spagnolo? Come uno che indossa un vestito troppo stretto, troppo corto, troppo rigido... La lingua dovrebbe calzarci a pennello e meno sappiamo usarla, più ci aggiriamo tra gli altri come la caricatura di una persona reale.

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  18. Oggi l’italiano è una lingua parlata in molti paesi del mondo, quindi potremmo considerarla una lingua viva, al contrario però il popolo italiano presta molta poca attenzione nel parlare e scrivere questa lingua correttamente.
    Le generazione passate non parlano la nostra lingua, per la maggior parte dei casi, correttamente per una scarsa informazione e perché sono stati abituati fin da piccoli a parlare i dialetti locali.
    Le nuove generazioni, però, non parlano ugualmente correttamente l’italiano anche se la grammatica italiana viene studiata sin dalla prima elementare, ma preferiscono usare vocaboli importati da altri stati, soprattutto America e Regno Unito. Basti pensare al gergo quotidiano, preferiamo utilizzare la parola hamburger per identificare un semplice panino con della carne all’interno, o l’espressione “all you con eat” riferendoci alla formula utilizzata nei ristoranti a prezzo fisso.
    Gli italiani sono un popolo che preferisce giustificarsi dicendo che la lingua italiana è difficile, ci sono troppe regole da applicare, eccezioni, piuttosto che imparare ad utilizzare correttamente le regole della lingua parlata e scritta.
    Non credo che l’Accademia della Crusca possa fare molto per reggere la competizione globale con l’inglese, in quanto oramai è la lingua per eccellenza, non é necessario sapere la lingua di ogni Paese in cui si viaggia, ma é indispensabile sapere l’inglese. L’Accademia potrebbe cercare di valorizzare maggiormente l’italiano ad esempio evitando di utilizzare parole inglesi in pubblicità, conferenze, lezioni. Ad oggi sono numerosissimi i giovani che vanno all’estero per studiare o per lavorare, per incentivare l’italiano bisognerebbe creare progetti, centri di ricerca, posti di lavoro che favoriscano la permanenza degli studenti in Italia, evitando così l’emigrazioni in paesi esteri.
    A mio avviso questi potrebbero essere dei modi per incentivare la lingua italiana e “combattere” la globalizzazione dell’inglese.

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  19. Alessandro Verri, in questo articolo del “Caffè” del 1764, critica la lingua italiana del momento. Una lingua morta ferma ai fasti delle tre corone fiorentine e ben lontana dall’esigenza di infiammare l’Italia intera con il lume della conoscenza. Egli, infatti, suggerisce di adeguare la lingua al contesto anche con l’inserimento di termini dialettali e stranieri per rendere accessibile a chiunque la conoscenza.

    Oggi forse abbiamo preso troppo alla lettera il consiglio di Verri e non abbiamo ottenuto il risultato sperato. I termini della nostra lingua vengono spesso sostituiti da anglicismi . Al contempo la nostra grammatica è rimasta fossilizzata mantenendo strutture grammaticali complesse e articolate che non la rendono la lingua più “smart” al mondo.

    Oramai l’economia e la tecnologia hanno scelto l’inglese. Infatti ha una struttura grammaticale molto più semplice e più veloce adatta ad un mondo capitalista che corre sempre più veloce.

    Per questo motivo sarà difficile invertire questa tendenza e nei prossimi decenni rischia di diventare una lingua morta, conosciuta solo dagli studiosi come il latino. Per scongiurare questa ipotesi, la mia proposta all’Accademia della Crusca è quella di semplificare la grammatica italiana e inventare nuovi termini in particolare nel settore finanziario e delle nuove tecnologie.

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    1. Non ha molto senso inventare nuovi termini se arrivi sempre ultimo a contribuire in una data disciplina. In tutto il mondo la lingua della musica è l'italiano, perché l'Italia è stata a lungo alla testa dello sviluppo della civiltà musicale europea.

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    2. Questo mi sembra un punto molto plausibile.
      Nei vari settori la nazione che più porta innovazioni e modifiche impone anche i propri termini e i propri stili. Chi primo arriva meglio alloggia no?

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    3. Pensiamo molto banalmente all'ambito culinario dove gli italiani hanno sempre fatto scuola al mondo. Nessuno si sognerebbe di chiamare un buon piatto di spaghetti "little twine".
      Semplicemnte chi crea la fa da padrone.
      E quindi qui credo si possa tornare al mio primo commento: se non siamo più capaci di avere un oensiero critico e quindi di innovare, e quelli che invece lo hanno sono costretti ad andare all'estero per potersi mettere in gioco, come facciamo ad imporci?
      Io credo che tutto, anche la questione linguistica, parta da uno sottosviluppo culturale

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  21. Verri ritiene fondamentale che l’italiano debba essere una lingua aperta ai cambiamenti e all’evoluzione e in un epoca moderna e sviluppata economicamente è plausibile che alcuni termini vengano adottati anche dalla lingua inglese, che è quella internazionale prevalentemente usata per comunicare.
    Al contrario di una volta però, in cui l’italiano era usato unicamente per la scrittura di testi e non veniva parlato dal popolo, adesso è diventato una lingua viva, utilizzata per comunicare anche se purtroppo con vocaboli sempre più di basso livello, senza aver cura nel parlare di scegliere le parole più adatte ad esprimere un concetto, preferendo un lessico povero e molto spesso ripetitivo.
    Credo questo atteggiamento sia causato anche dalla complessità della nostra lingua e per la maggior parte noi italiani piuttosto che preferire la conoscenza e il proprio sviluppo a livello lessicale scegliamo la via più semplice e breve: quella dell’utilizzo di un linguaggio che finisce per essere piatto e povero, prendendo spesso vocaboli o espressioni provenienti da altre lingue, come quella inglese. A mio parere questo è giusto se utile ad esprimerci meglio, per rispecchiare idee a cui le parole della nostra lingua non corrisponderebbero a pieno.
    La mia proposta per rinnovare la lingua sarebbe quindi sì quella di semplificare le tante regole grammaticali, ma soprattutto di adattare in parte la lingua parlata, più soggetta all’evoluzione, allo scritto che maggiormente blocca il cambiamento della lingua proprio perché vincolato da numerose regole.

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    1. In nessuna lingua, neanche le più aperte e spregiudicate, il parlato corrisponde allo scritto. I binari sono due e viaggiano paralleli, ma distinti tra loro. Mi pare una proposta poco plausibile, anche considerando che i romanzi di oggi sono tutto tranne un modello di stile e di correttezza grammaticale. Quindi la totale sbracatura non riguarda solo l'orale ma anche lo scritto.

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  22. Poche proposte concrete e nullo ascolto reciproco. Sembra un talk show televisivo. Mancono solo gli insulti.

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  23. Come deve cambiare la nostra lingua per renderla più adeguata a reggere la sfida della competizione globale e del monopolio dell'inglese? 

    Dal mio punto di vista l'italiano del domani sarà sempre più colmo di anglicismi. Basta accedere al sito dell'Accademia della Crusca nella sezione "Parole Nuove" per osservare la quantità industriale di nuovi termini che derivano dall'inglese o dall'americano che si stanno aggiungendo al nostro vocabolario. Per questo motivo non credo sia possibile fare qualcosa per invertire questa tendenza che, almeno nel parlato, porterà presumibilmente i paesi dell'Occidente verso l'unificazione linguistica. Come oggi non si comunica più in greco e in latino, in futuro non si utilizzeranno più gli idiomi dei singoli paesi occidentali. Esisterà una sola lingua che, a meno di clamorosi stravolgimenti, sarà l'inglese. Giá oggi è la lingua madre dell'economia, della finanza, della tecnologia, della comunicazione e del commercio. Salvare la lingua italiana potrebbe diventare l'obiettivo dei sovranisti del futuro, ma sarà un'impresa difficilissima, una sorta di "mission impossible", tanto per restare in tema…
    Al contrario di molti di voi, il consiglio che mi sento di dare all'Accademia della Crusca, è quello di non compiere una semplificazione della lingua, che dal mio punto di vista porterebbe ad un impoverimento del lessico e del linguaggio. Un'italiano al passo con i tempi rischierebbe di rendere incomprensibili agli occhi di noi stessi italiani le opere letterarie scritte in passato dai poeti del nostro paese. Al contrario, proporrei un arricchimento del lessico. Inoltre, per provare a sostenere la competizione con l'inglese opterei per il divieto di inserire  nel dizionario della lingua italiana gli anglicismi. Prendiamo come esempio il modello spagnolo dove mouse è stato tradotto in "ratón", dove computer si dice "ordenador" e non solo.


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  24. Le lingue in generale si adeguano alle esigenze di un popolo.
    La lingua che conosciamo ora non è sempre stata questa ma è come un muro formato da tante piccole mattonelle e durante i secoli si sono sempre aggiunte delle nuove mattonelle e quelle più vecchie sono state spesso inghiottite da piantaccie rampicanti che sono andate a coprirle.
    Queste mattonelle sono state aggiunte in base alle esigenze e come è stato fatto in passato(senza che magari ci fosse una “riforma della lingua” ma in modo naturale con l’orale che si è modificato e poi ha condizionato anche lo scritto)dovrebbe avvenire anche ora:con il rapido evolversi del mondo che ci circonda dovrebbe evolversi rapidamente il nostro modo per descriverlo.
    La tendenza è l’andare a semplificare il semplificabile perché il mondo cambia velocemente e una cosa semplice è più immediata e veloce quindi una mia proposta concreta per andare a far sì che avvenga ciò è diminuire il numero di tempi verbali e forse anche di verbi in sé, il passato remoto è utile e necessario o rende solo una conversazione più difficile da verbalizzare e quindi scrivere?
    Questa cosa,seppur banale, potrebbe far sì che l’Italiano venga visto come più facile anche da imparare e venga più usato in giro per il mondo ma troverei semplicistica una visione del tipo “è più facile, allora usiamola”, la lingua è dettata dalle esigenze del mondo e quelle economiche sono tra le esigenze forse più numerose nella nostra società improntata al consumo.
    Quali sono i paesi che si posizionano sul podio nell’economia?Gli Stati Uniti e la Cina.
    Quali sono le lingue più parlate al mondo?Il cinese mandarino e l’inglese.
    Quindi probabilmente per far sì che l’italiano diventi una lingua più importante gli italiani stessi dovrebbero darsi da fare e produrre di più per commerciare di più ma la vedo una cosa difficile da realizzare.
    Secondo me in ogni periodo ci sono dei valori considerati più importanti:nel medioevo il latino era una delle lingue più illustri perché era quella usata dalla Chiesa, ora tendiamo sempre di più a una laicizzazione generale e il consumo è come se fosse una nuova religione.
    Quindi col cristianesimo parliamo del latino,con il consumismo dell’inglese.


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  25. La nostra è una lingua bellissima, ma purtroppo oggi non viene valorizzata da noi italiani. Spesso utilizziamo delle parole inglesi solo perché le abbiamo sentite in televisione. Invece, in alcune occasioni, soprattutto quando siamo in compagnia dei nostri nonni, tendiamo a parlare il dialetto regionale. Potremmo abbandonare questa tendenza se ogni ragazzo si dedicasse con un pò più di interesse alle materie umanistiche come la letteratura, la filosofia, la storia ecc. Sicuramente vi chiederete :” come può uno studente comprendere ed apprendere dagli autori che tra qualche anno magari dimenticherà?” Tutto sommato non è facile, ma se i professori riusciranno a far   appassionare i propri ragazzi alle loro materie, gli studenti inizieranno a studiare gli argomenti proposti con maggiore entusiasmo.

    Come competere con le lingue globali e con il monopolio inglese? Innanzitutto, come ho scritto sopra dobbiamo studiare ed approfondire la nostra cultura, dobbiamo amarla e penso che dovremmo essere educati con la passione della cultura fin da quando siamo piccoli. Inoltre, dovremmo leggere almeno un’ora al giorno, come chi corre ogni pomeriggio per allenarsi ad una gara: noi dovremmo fare lo stesso. Questo potrebbe aiutare moltissimo ognuno di noi perché in questo modo iniziamo a sviluppare il nostro pensiero critico, inoltre cominciamo a scrivere meglio e soprattutto riusciamo a parlare e a scrivere in maniera corretta.
    Onestamente, penso che per competere con le altre lingue non serva un parlare colto e ricercato, ma semplicemente chiarezza ed esattezza nel nostro linguaggio.
    Comunque, penso che noi ragazzi potremmo trasformare ma soprattutto migliorare la nostra lingua nei prossimi anni proprio imparando ad usarla in maniera appropriata. Chissà, magari un giorno renderemo l’italiano più adeguato tanto da gareggiare contro gli altri linguaggi, riuscendo a  sconfiggere anche il monopolio inglese!

    Come deve cambiare la nostra lingua? Penso che l’italiano non debba cambiare per forza per competere con altri idiomi, perché è una lingua storica. A mio parere deve solamente mantenere la sua identità, i suoi valori e la sua tradizione. Avendo una cultura formidabile come dicevo prima è che dobbiamo solamente attivare il nostro interesse. L’obiettivo fondamentale è quello di migliorare la nostra scrittura e il nostro parlare. Quindi, penso che l’italiano non debba cambiare per nessun motivo.

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    1. Gli studenti vogliono sempre che qualcuno serva loro il menù caldo e ben impacchettato, come succede nei fast-food. Che ne direbbero i suddetti studenti di abbandonare il loro atteggiamento di patrizia noia, frutto di sazietà e provare a porsi in maniera attiva e propositiva, invece che aspettare che la manna cada dal cielo direttamente sulle loro teste?

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    2. Sono d’accordo con quanto lei dice, però penso che non sempre gli studenti abbiano un atteggiamento propositivo e attivo, perchè sono poco spronati dal docente stesso. Infatti quest’ultimo, a volte, può risultare poco competente o ricoprente un ruolo di passività in relazione alla sua carica affidatagli. Perciò l’ atteggiamento di noia da parte degli studenti si manifesta principalmente in due casi. Il primo, quando c’è poco interesse da parte del professore a spiegare la sua materia; il secondo, qualora il docente fosse competente ed appassionato alla materia, un atteggiamento passivo da parte dello studente.

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  26. Ripeto: il tema non è competere con l'inglese, bensì riprogrammare illuministicamente la lingua su basi più razionali. E' ridicolo pensare che domani tutti rinunceremo spontaneamente all'italiano per parlare e scrivere in inglese, viste anche le condizioni pietose delle competenze linguistiche in L2 in Italia. Non è solo il problema di farsi capire all'estero. La lingua è la nostra anima. Con la nostra lingua accarezziamo le persone che amiamo, nella nostra lingua pensiamo, sogniamo, progettiamo, ci divertiamo, ci arrabbiamo, ci insultiamo. Da un lato, quindi, dovremmo padroneggiarla affinché si adatti perfettamente alla nostra fisionomia; dall'altro dobbiamo porci razionalmente il problema di come adeguarla ad un mondo che cambia.
    Sul passato remoto ho già risposto. Altre proposte? Che ne dite di modificare il periodo ipotetico del III tipo: "Se me lo dicevi prima, evitavo di prendere una multa", al posto di "Se me lo avessi detto prima, avrei evitato di..."?

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    1. professore sinceramente credo che anche la migliore delle proposte sia vacua. il fenomeno della fusione di lingue, come lo spanglish, o anche i semplici dialetti mi portano a pensare che una lingua nasca, e non si possa creare. possiamo rinchiuderla dentro a degli schemi, a delle regole, ma tanto comunque ne uscirà. l'Accademia della Crusca potrà modificare il periodo ipotetico del terzo tipo, ma io comunque continuerò ad usare il congiuntivo. questo non per una rivolta idealistica, ma perché semplicemente mi stona con l'indicativo. è intrinseca in noi stessi la lingua,nasce da ciò che ognuno di noi è. se noi siamo A la lingua diventerà A. anche per questo trovo le regole linguistiche in bilico, o comunque in continuo cambiamento. cambiamento che è effetto del cambiamento dell'uomo rispetto a determinati fenomeni. quindi imprevedibile

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    2. La lingua italiana è nata in passato, in un contesto diverso da quello odierno. In un mondo come quello di oggi, l’italiano viene sempre più semplificato per comodità, pigrizia o ignoranza. Oggi, grazie anche all’avvento dei social network, si cerca l’essenzialità di un concetto senza dover perdere tempo a comprendere tanti giri di parole. Il cittadino italiano di oggi vuole arrivare al "punto" più velocemente possibile, senza che la complessità della lingua lo ostacoli.
      Se anche in futuro continuerà ad essere così l’Accademia della Crusca finirà per accettare tali semplificazioni (o cambiamenti di verbi come quello che ha proposto lei) in modo da restare al passo con questa evoluzione.

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  27. Alessandro Verri in questo articolo critica l’Accademia della crusca in sette punti essenziali.
    Inizialmente, così come é stato fatto dai più importanti autori del trecento, propone al popolo italiano di coniare nuovi termini. Successivamente dichiara che, qualora delle parole provenienti da lingue straniere dovessero arricchire l’italiano, queste vanno introdotte nel vocabolario.

    Si assiste al fatto che, in un mondo sempre più globalizzato e aperto
    all’ introduzione di anglicismi e americanismi, l'italiano viene parlato in modo via via più scorretto. Sembra esserci nella nostra società, e in particolare nelle scuole, un crescente disinteresse per lo studio della nostra lingua.
    Da anni e sempre con maggiore frequenza i giovani, in particolare, tendono a utilizzare quotidianamente idiomi stranieri.  Questa tendenza conduce a una sorta di “colonizzazione” della nostra lingua e quindi anche della nostra cultura, col rischio di un loro impoverimento e involuzione.
    Per rispondere, dunque, al quesito oggetto del tema, penso dovrebbe essere compito dell’istituzione scolastica indirizzare gli studenti verso un uso più rigido della lingua, teso ad ampliare il lessico e finalizzato ad una maggiore correttezza espressiva. Per esempio ritengo che, in tutti i gradi di scuola, sarebbe opportuno che la valutazione del grado di preparazione degli studenti, anziché essere misurata con prove a “crocette”, come sta avvenendo da qualche anno, venisse fatta oralmente e/o attraverso verifiche contenenti domande aperte. Un'altra maniera per contenere la depauperazione della lingua potrebbe essere quella di tradurre termini stranieri in italiano, se necessario coniandone anche di nuovi. Credo che solo così facendo si riuscirebbe ad adeguare l'italiano alle esigenze di un mondo globalizzato, preservando, però, contestualmente la nostra identità culturale.

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  28. Non poco tempo fa’ ascoltai (Boldrin:) una conferenza di Galimberti. Per chi non lo conoscesse è un filosofo contemporaneo, un Verri del XXI secolo. Questo stava comparando la lingua latina a quella greca, dicendo che la prima aveva un numero di vocaboli esigui rispetto alla seconda. Il fatto che i romani, diceva, avessero molte meno parole è presto spiegato dalla loro cultura. Una cultura funzionale alla conquista di qualcosa di materiale. Dall’ingegneria bellica sino alle orazioni di fronte alla folla, tutto è proteso al raggiungimento di un obbiettivo terreno, alla conquista, alla vittoria. Ai greci questo non interessava. O almeno è quello che ci par di capire da 34 secoli di pensieri fluttuanti. Belli, ma Vercingetorige non sarebbe mai diventato il barboncino di Cesare se al posto delle catapulte questo avesse usato un sillogismo. Dubito anche che la maieutica abbia aiutato contro Annibale, d’altro canto non lo fece neppure desistere dal partire. Cioè, valicare le alpi con gli elefanti e d’inverno? WTF?!? Ciò che voglio dire è che, se è vero che il linguaggio è lo strumento delle idee, è altrettanto vero che se ci piacciono i Beatles non ci metteremo a suonare Mozart. Parte tutto da quello che vogliamo. Quello che noi oggi vogliamo è un fattore culturale, società e cultura vanno a braccetto. Da quello che finora penso di aver capito sulla nostra società è che sia improntata al progresso tecnologico. Una vittoria che si costruisce un G alla volta. Come del resto per le nostre vite. Tutto ciò che desideriamo è materiale, è possedibile. Io HO una nuova macchina, io HO una nuova ragazza. Siamo figli dei latini, d’altro canto. Perciò il linguaggio si fa’ sempre più tecnico, sempre più veloce. Frasi si racchiudono in parole per ottimizzare, per non perdere tempo. L’inglese è semplice ed è ovunque. La cultura inglese è materialista ed empiristica. Essendo dio morto e il consumismo latitante non si può fare altro se non godersi la musicalità della lingua italiana perché probabilmente morirà. Rassegniamoci



    note a piè di pagina:

    Per ‘Essendo dio morto e il consumismo latitante’ legato al materialismo e all’empirismo inglesi intendo dire che Dio non ha più tanti adepti, perciò le persone cercano sempre di più una ricompensa materiale. Quindi ecco spuntare il materialismo, il quale preclude la spiritualità. Per quanto riguarda l’empirismo, contrapposto alla ragione, si ritrova nel consumismo. Soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali. Non cercando la verità, il consumista, l’empirico, si accontenta dell’esperienza. Esperienza che lo porta a soddisfarsi continuamente per puro piacere, senza alcun punto fisso. Ed è forse questa una reale crisi esistenziale. Consumare solo beni materiali ci porta a smussare tutto ciò che rallenta l’arrivo del nostro soddisfacimento. La lingua, così, diventa 'neolingua' e ci ritroveremo tutti quanti a fare, un giorno, tutti i giorni, i 2 minuti di compre, come nel l’ontano 1984.

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    1. L'inglese non è semplice, infatti nessuno di voi sa parlarlo in modo veramente decente. Fate questo esperimento: abolite l'italiano per 48 ore. Vediamo a cosa si riduce la vostra capacità di esprimervi autenticamente. Facile è quella versione caricaturale dell'inglese che assomiglia alle traduzioni robotizzate di Google, ottime - per carità - per fare acquisti da ebay con un commerciante cinese ma neanche lontanamente capace di svolgere le funzioni più profonde ed intime di una vera lingua. L'inglese internazionale si usi per fare affari nel mondo; ma ciascuno di noi non potrà fare a meno di abitare la propria lingua, perché lì risiede la sua anima e la sua identità.

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  29. Cristal Maiorana

    Fin dai tempi addietro, gli italiani hanno sempre considerato l'erba del vicino sempre più verde, valorizzando poco le proprie risorse, ma sembra che a rovinare realmente il "Bel Paese" sia proprio la poca stima che abbiamo nelle nostre potenzialità.
    Un esempio è la nostra lingua, condizionata da molte parole inglesi e usanze americane. Con ciò non voglio essere contro a questo amalgamarsi di lingue, perché nonostante tutto è giusto aprire le porte alla globalizzazione e stare al passo con i tempi, ma quello di cui non sono d'accordo e il fatto di lasciarci trasportare troppo e perdere la nostra identità, che si riflette con la nostra storia. Lo stesso ragionamento vale anche per quanto riguarda i dialetti. I dialetti in Italia sono vari e differenti e contraddistinguono ogni regione in base alla storia a cui è stata soggetta. Tutto questo è molto affascinante, è vero, ma ciò non giustifica l'uso eccessivo del proprio dialetto, anche in ambienti in cui si potrebbe benissimo fare a meno, per esempio il posto di lavoro. Questo fenomeno al contrario non precede ad un'evoluzione, ma ad un regresso della lingua. Detto ciò, la lingua italiana come può sostenere la competizione inglese? Secondo me questa sfida è disuguale, infatti l'italiano non può competere con l'inglese che è la lingua dominante nel mondo per motivi storici, economici e per la sua semplicità. È vero, ormai la lingua inglese ha influenzato l'italiano e molte altre lingue con i suoi termini e modi di dire (appartenenti maggiormente al mondo dei social), ma d'altro canto anche la lingua italiana, sebbene in piccola parte, ha influenzato gli altri paesi, soprattutto nel mondo della moda e della gastronomia. Un esempio è la pizza o la Nutella, che globalizzate in tutto il mondo, non sono tradotte con altri nomi, o, nota dolente, la parola mafia che non cambia il suo nome al di fuori dei confini italiani. Con questo voglio far capire che l'Italia, nel suo piccolo, da un contributo all'influenza globale e molti paesi sono invidiosi di tutto ciò, per questo è importante apprezzare ciò che abbiamo.

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    1. Sono in buona parte d'accordo con la tua analisi. Non capisco, però, perché si debba sempre ragionare per sottrazione: italiano sì, dialetto no. Io propongo: dialetto sì, italiano sì, inglese sì, tutti parlati al meglio delle nostre possibilità. In giro per il mondo c' è gente che parla 5 lingue, perché non pissiamo farlo noi? La maggior parte dei ragionamenti che ho letto sono un invito ad impoverirsi e a lasciarsi addomesticare da un linguaggio servile, superficiale, consumistico e spersonalizzante.

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  30. Daniel Vianello says:

    Come tutti possiamo facilmente notare, andando per le strade, frequentando scuole o altre istituzioni, insomma, in tutte le situazioni della vita quotidiana, è sempre maggiormente viva la tendenza ad usare l'italiano piuttosto che i dialetti. Fino a qualche decennio fa, essendoci una prevalenza del settore primario e quindi di agricoltura, in tutto il bel paese, ormai unificato, c'era una prevalenza netta di molteplici dialetti. Infatti i contadini rappresentano un nucleo dei vecchi comuni e delle vecchie città-stato con la propria lingua, la propria moneta e le proprie istruzioni autonome. Ovviamente questo aspetto di indipendenza ed autonomia si è conservato solo per quanto riguarda la lingua parlata, in quanto, con l'unificazione dell'Italia, si è creato un apparato amministrativo e burocratico unico. Nonostante questo, in quei pochi ed in via di estinzione, paesetti a sussistenza agricola si parla ancora il dialetto. Infatti gli agricoltori, producendo tutto ciò di cui hanno bisogno non si mischiano con le persone di altri comuni o paesi e quindi mantengono intatto il proprio dialetto. Ma con la rivoluzione industriale, l'avvento del capitalismo e del consumismo, si sono sempre di più falciati i dialetti, andando ad affermare una vera e propria lingua nazionale. Questo è portato dalle grandi multinazionali che producendo in grande quantità ed abbattendo i prezzi, mettono a rischio le realtà agricole ed i loro abitanti, la maggior parte dei quali si stabilisce in città, andando ad inserire i propri figli in un contesto nel quale si insegna italiano e quindi andando conseguentemente a disconoscere, con l'avanzare delle generazioni, il proprio dialetto. Con la globalizzazione si vanno a creare lingue che inglobano quantità di persone sempre più importanti, ovviamente a discapito delle lingue meno parlate. Si sta assistendo anche all'inserimento di vari anglicismi o americanismi nell'italiano parlato volgarmente. Nonostante queste piccole espressioni che vanno a conficcarsi nel manto italiano, si assiste all'avanzamento dell'inglese, ormai dato per scontato da sapere ad ogni cittadino con un titolo di studio medio. Questo vale se si analizza la lingua parlata dalla popolazione in termini cronologici; infatti cento anni fa l'inglese era molto meno diffuso e studiato in Italia rispetto ad oggi.

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  31. Continua così:

    Se si analizza in termini geografici, l'Italia è il paese che conosce meno l'inglese rispetto agli altri paesi europei. Si può affermare che l'italiano come lo conosciamo oggi non ha mai avuto la piena espressione che si meriterebbe; in quanto sono sopravvisuti tutt'oggi i dialetti, i quali stanno esalando l'ultimo respiro, ed ora il colpo finale che strapperá, fra qualche decennio, l'italiano dalla lista delle lingue vive, lo sta dando la neo lingua globale inglese. Un altro fattore che deteriora e danneggia la lingua italiana sono i giovani. Essi infatti hanno poco interesse, poca attenzione e poca cura per l'italiano e tendono ad utilizzare molti neologismi che possono essere sgraditi all' Accademia della Crusca e dissonanti all'orecchio di uno studioso o di un professore. Nonostante le antipatie che possono attirarsi queste espressioni, il danno più pesante lo arrecano alla nostra lingua, facendo dimenticare il vero termine che quell' espressione sostituisce. L'ultimo fattore che può portare all' impoverimento dell'italiano è l'uso dei telefonini. Esso infatti riduce moltissimo l'attenzione di coloro che ne abusano. Questo porta inevitabilmente ad una minore cura del lessico e ad un disinteresse per la lettura, la quale può arricchire l'essere umano sul piano mnemonico e lessicale. A mio parere l'italiano è una delle lingue più belle ed allo stesso tempo più difficili del mondo. Molti studiosi la studiano e ne studiano soprattutto le radici dalle quali succhia la sua linfa vitale, ma nonostante la bellezza ed eleganza di questo idioma, non penso si possa salvare dall'inevitabile avanzamento dell'inglese.Come i dialetti stanno perendo sotto la capienza dell'italiano, analogamente esso perirà sotto la massa globale dell'inglese. Se tentatissimo di salvarla sarebbe come salvare una piccola azienda da una multinazionale. Significherebbe andare controcorrente ed infine risultrerebbe inutile e controproducente, visto che ormai tutto tende verso l'unificazione globale.

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